Forte azione allelopatica del topinambur
L’allelopatia è definita come la capacità di una pianta di agire sulla fisiologia di altre piante, inibendone o stimolandone la crescita. Questo fenomeno si manifesta attraverso il rilascio di composti chimici da parte delle piante, tramite volatilizzazione, lisciviazione, produzione di essudati radicali e per decomposizione dei residui vegetali. È ben noto il caso del noce, sotto al quale la crescita della vegetazione spontanea o delle colture è fortemente ridotta.
Le specie in grado di produrre sostanze allelopatiche, comprendono sia piante coltivate sia piante infestanti. Tra queste è incluso anche Helianthus tuberosus, meglio conosciuto come topinambur, una composita originaria del nord America, introdotta in Europa agli inizi del 1600 per il consumo alimentare umano ed animale. Questa specie è stata favorita nella sua diffusione da una elevata facilità di propagazione dovuta alla presenza di tuberi e rizomi, oltreché da una notevole rusticità che ne consente la sopravvivenza anche in climi freddi, in terreni poco fertili e in ambienti piovosi. In seguito all’introduzione della patata, il topinambur ha però perso gran parte della sua importanza come coltura alimentare, divenendo una pianta per lo più di interesse ornamentale.
Nonostante un sempre minore interesse agrario, il topinambur ha continuato a diffondersi spontaneamente, diventando una pianta invasiva in diversi ambienti. Attualmente la sua presenza è segnalata lungo i corsi d’acqua, nelle aree ruderali, negli incolti, ma anche nei vivai, nei frutteti e nei campi coltivati, dove può dare origine a infestazioni in grado di determinare cali di produzione talvolta rilevanti. Ad esempio, una presenza di 4 tuberi/m2 provoca una perdita di produzione compresa tra il 16% e il 25% nel mais e tra il 59% e il 91% nella soia. Nell’orzo, 4-6 germogli/m2 sono in grado di determinare una riduzione della resa pari al 20%. A causa della presenza di organi di moltiplicazione come i tuberi, è importante ricordare che il controllo con chimico deve essere effettuato con erbicidi ad azione sistemica, mentre risultano inefficaci i prodotti di pre-emergenza.
Nonostante queste caratteristiche di invasività e capacità competitiva, in tempi recenti il topinambur è tornato ad assumere un ruolo di interesse in molteplici processi produttivi. Come accadeva già in passato, la biomassa epigea prodotta dalla pianta di H. tuberosus può essere destinata all’alimentazione animale. In particolare, mediante l’insilamento è possibile ottenere un buon alimento, anche se di qualità leggermente inferiore a quella dell’insilato di mais. I tuberi invece, essendo ricchi di inulina, un precursore del fruttosio, sono ideali per l’alimentazione di diabetici e obesi, oltre che per la produzione del dolcificante. Inoltre, l’elevata concentrazione del carboidrato negli organi sotterranei rende il topinambur una valida materia prima da destinare alla fermentazione per la produzione di bioetanolo.
Oltre alla coltivazione a fini produttivi, questa pianta sta suscitando notevole interesse anche in ambito agronomico per la sua buona resistenza ad alcune avversità biotiche. A tal riguardo si sta valutando la possibilità di trasferirne i geni di resistenza a Sclerotinia sclerotiorum, in Helianthus annuus (il comune girasole), una specie molto sensibile a questo patogeno fungino.
Un impiego alternativo potrebbe essere quello suggerito da alcuni studiosi, che hanno avanzato la possibilità di inserire nelle rotazioni colturali specie in grado di produrre composti capaci di inibire lo sviluppo di altre piante, per limitare la presenza di malerbe nelle colture agrarie.
I risvolti dell’allelopatia vanno tenuti in particolare considerazione nelle colture poste in successione alla coltivazione del topinambur, oppure in caso di forte infestazione di questa malerba. Mentre fagiolo, pisello e mais non risentono della presenza delle sostanze allelopatiche prodotte dal topinambur, il frumento, la lattuga, il pomodoro, il riso e lo zucchino sono sensibili, con evidenti segni di riduzione dello sviluppo e del tasso di germinazione se seminati nella successiva campagna. Tra le erbe infestanti risultano depresse nella germinazione e nello sviluppo, l’amaranto (Amaranthus retroflexus), il farinetto (Chenopodium album), la sanguinella (Digitaria sanguinalis), il giavone (Echinochloa crsu-galli) e la portulaca (Portulaca oleracea).
Nell’ottica di reintrodurre la coltivazione del topinambur negli ordinamenti colturali, come fonte alimentare o per la produzione di biocombustibile, la conoscenza della sua attività allelopatica è utile per la valutazione delle colture da inserire nella rotazione, in successione. La capacità di questa specie di inibire lo sviluppo di alcune erbe spontanee offrirebbe inoltre, un importante vantaggio nelle strategie di gestione della vegetazione infestante, limitando l’esigenza di ricorrere ai tradizionali diserbanti.
(a cura di Franco Tesio e Francesca Follis)