L’allevamento bovino da latte in Italia è prevalentemente intensivo e il mais rappresenta l’alimento fondamentale, insieme ai mangimi, della dieta degli animali utilizzati per la produzione di latte e dei suoi derivati.
In Piemonte sono presenti 370.000 ha di prati permanenti e pascoli, caratterizzati da una grande biodiversità che comprende 92 tipi di pascolo, di cui 50 circa forniscono foraggio utilizzabile con animali da latte. I prati permanenti e i pascoli annoverano fino a 70-100 diverse specie, in gran parte dicotiledoni, di cui molte appartenenti a famiglie botaniche ad elevato contenuto di sostanze aromatiche e nutraceutiche, come Leguminosae, Asteraceae, Umbelliferae, Rosaceae, Polygonaceae, Plantaginaceae e Labiatae.
Sul mercato, la quasi totalità del latte alimentare proviene da capi nutriti soprattutto con mais, loietto, erba medica e mangimi concentrati, questo anche per consentire una produzione di latte costante e standard sia a livello quantitativo che qualitativo, che ben si addice ai consueti contratti di fornitura. Il tipo di alimentazione si ripercuote infatti sulle caratteristiche qualitative e produttive degli animali.
Solo su una restante piccola parte del mercato è possibile reperire tipi di latte diversi (escludendo quello trasformato per la produzione di formaggio), prodotti da animali nutriti attraverso i molteplici tipi di prato-pascolo a cui corrispondono le diete differenti. La variabilità della composizione botanica dei prati e dei pascoli è il motivo per cui anche le caratteristiche del latte, prodotto da animali alimentati in questo modo, non possono essere sempre le stesse: le caratteristiche del foraggio variano in funzione delle specie botaniche da cui è costituito e le sue caratteristiche si ripercuotono su quelle chimiche e nutraceutiche del latte. Della relazione tra tipo e qualità dei foraggi da pascolo e qualità del latte si è occupato il Prof. Giampiero Lombardi, docente nel dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e alimentari dell’Università di Torino, che il 7 Febbraio ha esposto l’argomento alla conferenza “Cinquanta sfumature di verde: la biodiversità della vegetazione e diversità dei latti”, presso l’Orto Botanico del capoluogo piemontese
Composizione botanica e caratteristiche dei foraggi
Attraverso il sistema di alimentazione basato sul pascolo, gli animali assumono sostanze nutraceutiche in concentrazioni più elevate rispetto a quelle che vengono fornite loro tramite le diete convenzionali.
Il contenuto degli acidi grassi cambia in funzione di composizione botanica e fenologia (9-30 g/kg s.s.) e i foraggi migliori ne contengono di più e sono più appetibili per gli animali. Ad ogni modo nell’erba fresca sono presenti precursori di vitamine e antiossidanti e il contenuto di omega-3 (principali antiossidanti naturali, insieme a vitamina E e polifenoli, che proteggono dai radicali liberi) e carotenoidi è tanto maggiore quanto più è elevata la biodiversità. Nei foraggi i carotenoidi maggiormente presenti sono luteina e β-carotene, la cui concentrazione varia molto in funzione di stadio di sviluppo delle specie, tecnica e tempo di conservazione del foraggio. Inoltre si degradano rapidamente con la luce.
Conseguenze delle proprietà dei foraggi sulla composizione del latte
Le sostanze contenute nei foraggi si trasferiscono direttamente nel latte (es. i terpeni) o influenzano la composizione della frazione grassa (acidi grassi), modificandone il colore. In generale si è diffusa la tendenza a “demonizzare” erroneamente il grasso, concentrandosi sulla quantità di esso negli alimenti – molti dei quali vengono preferiti dal consumatore se a basso contenuto lipidico, come il latte scremato – senza pensare alla qualità dello stesso.
Gli acidi grassi sono invece fondamentali per la crescita, la produzione di energia e per processi metabolici fondamentali come la sintesi dell’emoglobina e la coagulazione. Svolgono un ruolo importante anche per la riproduzione e forniscono benefici, tra cui limitare eczemi e dermatiti, aumentare la tolleranza ai carboidrati nei diabetici e ridurre il colesterolo totale, tra cui LDL e trigliceridi, precursori delle prostaglandine. Tra gli acidi grassi troviamo anche i PUFA (acidi grassi polinsaturi), molecole la cui carenza nel latte rispetto ad altri alimenti, soprattutto di origine vegetale, ha portato alla cattiva fama del prodotto e dei suoi derivati. Gli animali allevati al pascolo, però, riescono a produrre un latte molto più ricco di queste sostanze.
Gli acidi grassi si possono classificare in 2 categorie: i saturi, che sono molecole prive di doppi legami; i mono e poli-insaturi, che presentano doppi legami e sono definiti “essenziali” poiché, nonostante siano indispensabili per lo svolgimento dei normali processi fisiologici degli animali, devono necessariamente essere introdotti attraverso la dieta, non essendo in grado gli animali stessi di sintetizzarli autonomamente. I più importanti acidi grassi poli-insaturi sono l’acido linoleico (18:2) e l’acido l’inolenico (18:3), altrimenti detti omega 6 e omega 3. La prima categoria riduce il colesterolo (LDL ed HDL), la seconda abbassa i livelli plasmatici dei trigliceridi e riduce i rischi cardiovascolari. All’interno del latte prodotto da vacche allevate attraverso il sistema del pascolo (o latte grass-fed) si trova anche un importante acido monoinsaturo, l’acido vaccenico, il naturale precursore del CLA (acido linoleico coniugato), utile per contrastare obesità, cancro e diabete.
Il rapporto ideale tra omega 6 e omega 3, secondo l’Organizzazione Mondiale Della Sanità, dovrebbe essere 5:1, invece, attualmente, nella dieta dell’Europa Occidentale è intorno a 10:1. Questo rapporto cambia sensibilmente in relazione alla dieta degli animali, risultando nettamente inferiore, quindi migliore, nel latte da erba e da fieno; più alto nell’UHT e nel fresco intero e in quello di alta qualità. Per quanto riguarda il CLA, nel latte da erba ci sono delle variazioni del suo quantitativo durante la stagione, in cui si ha un picco d’estate e un minimo d’inverno. La sua quantità resta molto più stabile nel latte convenzionale, soprattutto in quello di alta qualità e in quello UHT.
Il colore del latte
Anche il colore del latte viene influenzato dalla composizione dei foraggi, in special modo dai carotenoidi presenti, la cui concentrazione nel latte dipende dagli alimenti ingeriti. Essi passano il rumine solo attraverso i foraggi, senza poter essere aggiunti e si degradano facilmente. Le concentrazioni sono alte solo nei bovini, mentre in capre e pecore il latte non contiene β-carotene e per questo c’è differenza di colore tra il latte bovino e quello dei piccoli ruminanti. Maggiore è la quantità di carotenoidi, più il colore del latte appare giallo. Perciò, nel latte da pascolo la colorazione è più evidente rispetto a quello prodotto attraverso fieno o insilato di mais, alimenti più poveri di carotenoidi. È interessante notare che la pastorizzazione non ha effetto sul contenuto di carotenoidi, ma altera la struttura del latte e modifica il suo colore.
Il latte grass-fed è più appetibile?
Stando ai risultati di 700 test sensoriali fatti da persone comuni, per un progetto finanziato dal PSR regionale sul latte da erba (o grass-fed) in Piemonte, l’84% dei consumatori riconosce la differenza rispetto al latte di alta qualità e lo apprezza maggiormente.
Quindi, il latte da erba è apprezzato, è più salutare avendo un migliore profilo in acidi grassi ed essendo più ricco di antiossidanti ed è ottenuto da animali che hanno una dieta più varia e quindi godono di un maggior benessere. Il sistema ha effetti anche sull’ambiente, contribuendo a conservarlo riducendo l’inquinamento, lo spreco di risorse ed aumentando la sostenibilità.
Come categorizzare il latte da erba in relazione al metodo di produzione?
Uno standard internazionale non esiste, ma generalmente un latte viene definito grass-fed, se prodotto da vacche alimentate attraverso una dieta senza insilati, composta per il 70% da fieno o da erba (pascolamento sempre quando possibile: 5-10 mesi) utilizzando praterie permanenti o avvicendate, purché siano polifite (cioè ricche di specie vegetali). Gli animali devono essere poco «forzati» e quindi avere una produttività bassa, al massimo di 7 t/lattazione, vivendo almeno per 4 lattazioni.
Quale relazione tra valore del prodotto e disponibilità a pagare del consumatore? Quale prezzo al consumo?
Data la bassa produttività, la domanda è se il valore del prodotto sia riconosciuto dal consumatore tanto da compensare con il prezzo erogato i costi sostenuti dall’allevatore malgrado la produzione ridotta. La risposta è sì, il 34% dei consumatori sarebbe disposto a pagare il latte prodotto col sistema del pascolo tra i 2 e i 2,20 €/l e un altro 27% 2,40€/l. Il prezzo di mercato però si aggira intorno a 1,70-1,80 €/l, contro 1,83 €/l del latte biologico e 1,60€/l del latte convenzionale.
Tabella 1. Tipologia del latte e prezzo di mercato
Tipo di latte | Prezzo di mercato (€/l) |
Convenzionale | 1,60 |
Biologico | 1,83 |
Da erba | 1,70-1,80 |
Tabella 2. Disponibilità a pagare per il latte da erba da parte dei consumatori
Disponibilità a pagare (€/l) | % consumatori |
2-2,20 | 34 |
2,40 | 27 |
Pertanto il ricorso a questo tipo di allevamento trova giustificazione in aree del territorio particolari, come quelle montane dove l’allevamento intensivo è quasi impossibile e in cui i produttori possono contare almeno su qualche aiuto proveniente dalle misure dei Piani di Sviluppo Rurale in più, giustificato anche dalla bellezza paesaggistica che il pascolo può incrementare, richiamando turismo ed aumentando il valore dell’utilità sociale della zona.