IL CASO DEL RISO IN PIEMONTE
Lo sviluppo della rete idrica nel nostro territorio inizia nel medioevo e da circa 20 anni in Piemonte è iniziata la divisione dell’areale agricolo servito da irrigazione in consorzi irrigui che oggi sono quasi 700, molto diversificati visto che alcuni gestiscono solo poche decine di ettari mentre altri ne servono migliaia. Il metodo utilizzato è quello per scorrimento che consente anche in un territorio pianeggiante di portare la risorsa idrica a tutti i fruitori senza l’utilizzo di pompe ma solo utilizzando la forza di gravità; inoltre va sottolineato come l’acqua venga usata per usi plurimi visto che oltre all’irrigazione si alimentano le centrali idroelettriche per la produzione di corrente elettrica da fonti rinnovabili.
Alcuni studi dicono che le colture agricole trattengono solo il 20% dell’acqua utilizzata per l’irrigazione quindi possiamo dire che l’agricoltura non consuma ma utilizza l’acqua e la trasferisce su tutto il territorio. Da anni i distretti irrigui sono costretti ad effettuare delle riduzioni percentuali dei volumi di acqua distribuiti, questo anche per dover garantire il Deflusso Minimo Vitale (DMV) cioè il quantitativo minimo che deve restare nei fiumi. Ovvio che i fiumi devono poter avere un minimo di portata per poter garantire la sopravvivenza di flora e fauna fluviali, però dobbiamo calcolare l’apporto fondamentale che l’irrigazione dei campi ha nell’alimentazione delle falde, questa non avviene quando si limita o si blocca lo scorrimento delle acque di irrigazione, conseguentemente anche pozzi e fontanili si asciugano.
È provato che questi volumi idrici sono gli unici che alimentano l’enorme rete irrigua superficiale e sotterranea tipica della zona agricola della pianura padana. Non possiamo assegnare ad ogni settore produttivo determinate percentuali di consumo di acqua perché in realtà la movimentazione dell’acqua è un flusso e come tale parte dalle montagne, passa nei bacini di contenimento, viene utilizzata per l’agricoltura che in parte la restituisce al bacino del Po tramite la filtrazione (2 miliardi di metri cubi anno) nel terreno verso le falde sotterranee. Altro fattore di fondamentale importanza per l’ambiente agricolo ma anche per tutta la popolazione è l’invio dell’acqua sui campi e nei canali in caso di alluvioni o forti precipitazioni, i consorzi irrigui e gli agricoltori sono costantemente presenti così da gestire le emergenze anche grazie alla loro profonda conoscenza del territorio.
E’ ormai scientificamente provato come i periodi di precipitazioni nel nostro territorio siano drasticamente diminuiti e sempre più spesso le piogge si concentrano in periodi limitati con fenomeni estremi seguiti da periodi molto prolungati di siccità; alla luce di questo l’unico modo per continuare ad avere disponibilità idrica sarà quello di creare bacini che non dovranno essere di enormi dimensioni ma bensì tanti piccoli che potranno risolvere il problema dell’accumulo così da trattenere le acque nei limitati periodi di pioggia. Un esempio di ottima gestione in questo senso è stata la Spagna dove si sono realizzate molte piccole dighe parecchie delle quali finanziate dalla comunità europea.
Le aziende agricole dovranno essere i primi attori di questa grande trasformazione nelle tradizioni e nelle abitudini sia nel normale stile di vita sia sotto il punto di vista agronomico, si dovranno utilizzare sempre più di frequente le nuove tecniche di irrigazione mirate all’ottimizzazione della risorsa idrica (vedi manichetta su mais).
Certo è che queste tecniche sono applicabili solo su alcune colture e sicuramente non sul riso che per genetica richiede la sommersione per poter dare i migliori risultati produttivi; inoltre abbiamo già spiegato come il riso coltivato con metodi tradizionali sia fondamentale per continuare ad alimentare falde, pozzi e fontanili. La risicoltura negli ultimi anni ha adottato con sempre maggior frequenza la tecnica della “semina in asciutta” cioè la messa a dimora della coltura non in ambiente sommerso come da tradizione ma seminata come ogni altro cereale a paglia a file interrate su terreno asciutto.
Questa tecnica inizialmente utilizzata nel milanese e nel pavese è da qualche anno molto diffusa anche nelle province di Novara e Vercelli viste le ripercussioni economiche e pratiche che la sua applicazione comporta per gli imprenditori agricoli; come già detto però il rovescio della medaglia è che la sommersione delle risaie così facendo non avviene più nei mesi di aprile/maggio ma si sposta nei mesi di giugno/luglio con conseguente ritardo nella restituzione alle falde sotterranee di una quota di acqua fondamentale per il rifornimento di tutte le reti sotterranee sfruttate dall’uomo da anni. Pozzi asciutti e fontanili secchi ormai comuni negli ultimi anni non devono il loro stato alla carenza di precipitazioni ma bensì alla mancata sommersione primaverile delle risaie. Ricordiamo che la semina in asciutta NON utilizza volumi idrici inferiori alla semina convenzionale che consente con volumi ridotti di garantire la costante sommersione a migliaia di ettari di riso. Inoltre la grande richiesta di acqua della risicoltura in questo caso è concomitante con il periodo di irrigazione del mais quindi nei mesi di giugno e luglio quando la risorsa idrica è inferiore.
Concludendo possiamo trarre alcune conclusioni che, come sempre, non possono essere regole assolute ma sicuramente ci dovrebbero portare a ragionare sulla situazione climatica e su come il comportamento del singolo possa influire sulla comunità; è certo che dobbiamo convivere con la scarsità di acqua e che quindi il primo successo è il risparmio della stessa e il suo accantonamento nei periodi più ricchi. Il comparto agricolo e in particolar modo quello risicolo devono comprendere come il grosso peso sociale dell’agricoltura passa anche dalla tutela e dalla salvaguardia del territorio e delle risorse naturali, quindi anche se l’introduzione di nuove tecniche agronomiche consente un risparmio di denaro e un’ottimizzazione dei tempi, ogni risicoltore dovrà riflettere sulle conseguenze di ogni sua scelta e di come un territorio tutelato oggi sarà un mondo migliore dove far crescere i propri figli domani.